Incontriamo Elisabeth Cutler nella cornice dei Castelli Romani, dove ha deciso di vivere da anni e dove ha visto luce il suo ultimo lavoro “Polishing Stones” presentato proprio ad Ariccia nel marzo scorso. Un album intimo, dalle sonorità vellutate, frutto di una ricerca artistica e personale consapevole. Il felice approdo di un percorso musicale che ha dello straordinario nella sua genesi e nel suo evolversi, ma che ha sempre mantenuto una sincera integrità di fondo tipica della sua opera, e cioè quella pacata poesia frutto di scelte mirate e sobrie. Di chi preferisce davvero la qualità alla massificazione. La cantautrice americana ci ha generosamente spalancato le porte sulla sua storia, che parte da Boston, guarda caso centro di una vivida cultura musicale, rappresentata dal Berklee College of Music.
Ciao Elisabeth, partiamo dal principio vero e proprio: come decide una ragazza di cominciare a suonare la chitarra sfidando un mondo tipicamente maschile come quello del jazz o del blues?
La chitarra è stato il mio primo amore. Ho iniziato all’età di dieci anni a scuola dove ci insegnavano le “folk songs” , ed ho imparato a suonare in compagnia dei miei amici. All’età di quattordici anni ho intrapreso seriamente questo studio. Mi piaceva comporre melodie sulle poesie che scriveva mio fratello, o ricercando alcune testi poetici particolari. Nel frattempo sperimentavo degli accordi, a volte li inventavo. Fondamentale poi è stato l’ascolto di musicisti del calibro di Joni Mitchell e David Crosby, le cui atmosfere mi hanno senza dubbio influenzata. All’inizio non pensavo di cantare, ma cominciando a scrivere testi miei verso i diciotto anni ho preferito farlo. Quando mia madre ha visto tanto impegno da parte mia, ha deciso di farmi approfondire seriamente questo studio, indirizzandomi così al Berklee College of Music, dove il mio insegnante era specializzato in chitarra jazz. Erano gli anni ’70 e l’ambiente musicale era veramente prolifero, ebbi modo di essere presentata anche a Stevie Wonder, e di far parte di un ambiente musicale e culturale sorprendente.
Come erano quegli anni negli Stati Uniti?
C’era un risveglio generale della vita, e la musica ne era l’emblema. Tutto stava cambiando: la politica sociale e culturale, fu un periodo davvero straordinario. In quegli anni gli artisti stavano creando il Rock n’ Roll, tra combinazioni di jazz, blues e folk. Da parte mia ascoltavo molta musica british, a casa mia giravano i dischi dei Beatles e dei Rolling Stones, ma anche tanta West Coast e folk, diciamo che mi interessava molto l’impronta acustica nella ricerca musicale. Ho viaggiato molto in quegli anni: Minneapolis, Washington, Seattle, Portland, e così ho cominciato con le mie esibizioni dal vivo. C’erano delle fantastiche coffee house, come gli Starbucks coffee, e mi esibivo lì. A Seattle c’è una grande università, e la sua coffee house è molto famosa per chi vuole suonare, quindi ho cominciato proprio lì con i live. Ho proseguito viaggiando verso la California, poi mi sono diretta a sud ovest in Arizona e New Mexico perché volevo vedere il deserto. E così, viaggiando, ho cominciato a suonare con altri musicisti e band. Ma la mia prima vera esperienza professionale è stata a Nashville, patria della country music, dove ho pubblicato quattro album e dove ho trascorso ben tredici anni.
Ad un certo punto della tua vita ti sei spostata in Europa. Questo può apparire insolito, perché ogni buon musicista europeo, ad un certo punto della propria vita, si sposta negli Stati Uniti per incrementare il proprio curriculum artistico. Tu cosa hai trovato in Europa e come è cresciuta la tua esperienza artistica?
Sono arrivata in Europa perché sentivo di aver assorbito abbastanza dalla mia terra, avevo bisogno di nuove ispirazioni. Ero pronta per una nuova strada. Non cercavo di introdurmi nel music business europeo, ma cercavo una dimensione personale. Nashville mi cominciava ad andare stretta, perché troppo ancorata ad una visione country della musica, mentre la mia produzione contemplava anche altro. In Europa paradossalmente mi vedevano come una cantante country americana… ma la mia musica è fondamentalmente acustica di base folk, anche se non mi piace essere catalogata in un genere particolare. C’è anche molto blues e jazz nella mia produzione, per esempio. Qui ho poi accontentato il mio desiderio di collaborare con musicisti europei, che sono sempre incuriositi dal voler suonare con una cantautrice americana, e con loro ho trovato nuovi spunti. Ho viaggiato molto anche in Europa, e ho scelto di trasferirmi in Italia, per molte ragioni: il clima, il calore, le abitudini. A Roma ho conosciuto il mio attuale produttore: Filippo De Laura, che ha fatto davvero un buon lavoro, sia con il mio ultimo album che con il precedente “Slow Release” che è andato benissimo.
Parliamo del tuo ultimo lavoro, “Polishing Stones”. Come è nato questo album? Qual è la differenza dai precedenti?
Tutti i brani contenuti in Polishing Stones fanno parte del mio ultimo periodo creativo, che ha coinciso con una presa di consapevolezza personale. Volevo trasmettere uno stato d’animo diverso dagli album precedenti, dove veniva evidenziato più il senso di solitudine, qui invece ho dato risalto alla serenità raggiunta, alla pazienza, all’intenso lavoro che ho compiuto sulla mia persona e che inevitabilmente si riflette sulla mia opera, da qui “Polishing Stone”, che in italiano significa “lucidare pietre”, levigarle, fare un accurato lavoro di ricerca. Lo spunto mi è stato dato dalla mia insegnate di canto, che è italiana ed è specializzata in musica indiana: mentre studiavo con lei, mi invitava a ricercare e lavorare su ogni nota come se dovessi lucidare una pietra, ogni giorno, con costanza, così da costruire anche un solido percorso interno.
In Polishing Stones tu canti “I am Love”. Le persone credono che l’amore sia fondamentalmente qualcosa al di fuori di sé. La tua affermazione invece è forte, tu dici “Io sono amore”, quando e come hai preso consapevolezza di questo stato e come ha influenzato la tua produzione?
Quando trovi ciò di cui hai bisogno dentro di te, allontani il senso di frustrazione e acquisisci maggior sicurezza. Questo senza dubbio si riflette anche nella musica, dire “I am Love” significa dire: “so ciò che voglio, sto bene con me stessa, e mi sento molto centrata”. E’ un brano che sento molto positivo, anche perché nella realizzazione mi sono circondata dalle persone giuste.
A proposito, come ti ha accolto l’ambiente musicale italiano? Chi sono i musicisti che collaborano con te?
Devo dire davvero bene! Fondamentale è stato l’incontro con Filippo De Laura, il mio produttore, che è un bravissimo polistrumentista, ma anche gli amici che hanno collaborato all’incisione dell’ultimo album sono stati decisivi: Mats Hedberg , musicista svedese, alla chitarra acustica ed elettrica, con cui spesso faccio dei duo. Ernesto Cossio un chitarrista spagnolo davvero mentalmente aperto e curioso, ottimo esecutore folk, classico e ovviamente esperto chitarrista flamenco. Massimo Cusato, un batterista e percussionista di origine calabrese, che ho avuto la fortuna di conoscere casualmente dieci anni fa, e con cui adesso suono e registro. Poi c’è Filippo De Laura che suona il Chapman Stick, uno strumento a dieci corde, cinque di basso e cinque melodiche, così da utilizzare entrambe le mani con la tecnica del tapping. Siamo tutti musicisti diversi, ognuno con le proprie radici, ed è bello esser riusciti a creare un suono genuino ed originale. Ognuno apporta il suo contributo fluidamente, diciamo che siamo riusciti a creare davvero il mio personale mondo musicale!
Poi c’è il resto del gruppo: Eugenio Vatta al mastering e mixing, e Ari Takahashi che si occupa della realizzazione dei miei video , così come si è occupato della mia video presentazione “An American artist in Europe” . Ari ha realizzato anche il mio ultimo clip “I am Love” girato nella Locanda Martorelli, e dove la bravissima Paola Stella danza al ritmo della mia musica.
A quando i prossimi appuntamenti per poterti ascoltare live?
Le prossime esibizioni sono ai Castelli Romani, dove sono praticamente di casa. Giovedì 16 luglio alle 21.30 sarò a Nemi al Bar delle Fragole. Sabato 18 luglio alle 21.30 mi esibirò a Velletri al Gran Caffè. Seguiranno poi degli appuntamenti il 25 luglio a Grottaferrata e il 30 a Nettuno. Le date e le locations sono disponibili sul mio sito:
Giorgia Sbuelz
Photo by: Bee&Gio
Fonte: Daedalusopera.it